Il gruppo di ricerca S/murare il Mediterraneo, nato nel 2009 all’Università di Bari grazie alla passione e dedizione di Paola Zaccaria, si è allargato nel tempo per ospitare diverse realtà sul territorio nazionale e internazionale, in ambito accademico e artivistico.
Nel 2023 si costituisce come gruppo di ricerca interdipartimentale, grazie a un protocollo d’intesa tra il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione (Università di Bari), il Dipartimento di Studi Umanistici (Università della Calabria), il Dipartimento di Scienze Umanistiche (Università di Palermo) e il Dipartimento di Scienze Umane (Università dell’Aquila).
A partire dal numero 32/2021, RSA Journal (Rivista di Studi Americani e Journal of the Italian Association of North American Studies) ospita un Forum a puntate su questo tema. Qui di seguito l’introduzione di Valerio Massimo De Angelis e l’articolo di Tommaso Detti “Da Sud a Nord? I fenomeni migratori”.
Nell’ultimo numero, un contributo di Paola Zaccaria e Lorena Carbonara dal titolo “La svolta TransMediterrAtlantica del pensiero critico dei confini del progetto S/murare il Mediterraneo”
Marcello Carrozzo era un “Artista della fotografia italiana”, onorificenza che gli era stata riconosciuta nel 2009 da FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche), e ne andava fiero. Lo diceva incredulo, sbarrando gli occhi e ridendo. Il suo obiettivo era capace di catturare con grande sensibilità pittorica il dramma della singola persona all’interno delle marginalità sociali, nelle aree ad alta criticità e di conflitto. I suoi scatti sono composizioni plastiche-scultoree, dove i colori e i volumi sfiorano con grande senso della pietas i soggetti osservati. Su ciascuno si posava lo sguardo dell’autore, mai disattento, alla ricerca del dettaglio narrante, all’interno del caos.
Originario di Ostuni, di cui era innamorato (“La campagna…non posso stare senza…sono un fotografo contadino”) Marcello Carrozzo, scomparso dopo qualche settimana di distanza da un ictus che lo aveva colpito, ha realizzato reportage in Siria, Libano, Giordania, Striscia di Gaza, Iran, Kenya, Congo ex Zaire, Congo-Brazzaville, Thailandia, Vietnam, Mongolia, Argentina, Uruguay, Turchia, Grecia, Albania, e negli Stati indiani: Karnataka, Uttar Pradesh, Andrha Pradesh, Maharastra, Jharkhand.
Ha esposto i suoi reportage sociali in tutta Europa, ricevendo premi e riconoscimenti dalla Camera dei deputati, dal Ministero dell’Interno e degli Esteri italiani, dall’Istituto italiano di Cultura in Germania e in Russia, dall’Accademia di Belle Arti “Pushkynskaya 10” di San Pietroburgo. Ha insegnato “Personal Security Management” e “Media & Communication” per operatori in aree ad alta criticità e di conflitto presso l’ISPI (Milano).
Ha partecipato a missioni umanitarie con ONG e istituzioni internazionali, ha seguito e documentato i flussi migratori dalle coste libiche verso l’Europa, ha viaggiato in Medio Oriente come clandestino.
Le sue sono più che semplici fotografie: sono opere vive, che parlano un linguaggio universale. Sono opere che parlano di umanità e di miseria, di difficoltà, paura e speranza, prodotte da chi mette al primo posto l’etica, il rispetto verso chi, offrendosi al suo obiettivo, gli affida una storia, la propria. Quelle storie, voleva che si conoscessero più possibile e perciò era generoso; era capace di darti un intero reportage da pubblicare, purché si sapesse: come il suo reportage, pubblicato su S/murare il Mediterraneo https://smuraremediterraneo.wordpress.com/2020/11/19/news-from-lesbo-marcello-carrozzo/
“Fare fotografia sociale non è un percorso professionale che si sceglie, ci si arriva – mi disse Marcello Carrozzo, quando gli proposi di offrire un suo scatto come premio “Peace Reporter”, all’interno del Forum delle giornaliste del Mediterraneo. È qualcosa che matura nel tempo, si fanno determinate scelte: si sceglie di diventare partigiano, di schierarsi al fianco di chi perde, di chi subisce, di chi è perseguitato e cacciato. Le ingiustizie iniziano a renderti le notti insonni, e a quel punto scegli da che parte stare, e in che maniera. Se avessi scelto di fare il medico, in questo momento lavorerei per Emergency o per Medici senza frontiere; come fotoreporter la mia “arma”, il mezzo per denunciare le ingiustizie del mondo è la macchina fotografica. Sono partito andando a scavare nei luoghi bui del mondo, dove normalmente non arriva la luce, e dove ho scoperto un’umanità molto più umana di quanto ci si aspetterebbe. Si scopre l’umanità nei luoghi in cui non sorprenderebbe, invece, scoprire la disumanità causata da una serie di ingiustizie. Stabilisci con questo mondo un rapporto empatico, fino a diventare portavoce, latore di un messaggio, di un sogno, di una speranza, e portare i messaggi forti, che a volte sono semplicemente sussurrati dalla gente che vive in quei luoghi”.
Così era Marcello, non poteva non fotografare con empatia. Raccontava che la sua tecnica per raggiungere un livello di intimità con le persone che voleva fotografare, era guardarle negli occhi, sedersi al loro fianco, e aspettare. E così, creava un microcosmo di umanità e condivisione. “Non ho mai rubato una foto, le persone che ho fotografato, mi hanno scelto, affidandomi le loro storie”. Fotografava con la Leika manuale Marcello, “perché con la Leika devi avvicinarti per forza, non c’è lo zoom, devi guardarli negli occhi, arrivare anche a pochi centimetri e da un minimo cenno capisci che puoi farlo, e lo fai. Scatti”. Me l’ha fatta provare la sua Leika, che era per lui come l’estensione del suo braccio. Non si poteva toccare. Eravamo a Cracovia, in attesa di prendere il pulman per Melika, la frontiera con l’Ucraina. Bevevamo acqua. Usando la sua tecnica, l’ho guardato negli occhi e ho teso la mano verso la Leika: “Mi insegni? Voglio fotografarti”. E così è nato quel suo ritratto, che ha sempre dimenticato di inviarmi, ma che è conservato nel suo immenso archivio, perché era molto meticoloso e non perdeva nulla. Dice (diceva) che è il più bel ritratto che gli abbiano mai fatto.
Il suo “essere partigiano” era alla base anche dei suoi insegnamenti in “Techiche e linguaggio della fotografia”, presso il Master in giornalismo dell’Università di Bari, dove generosamente si metteva a disposizione per mettere davanti alla prova più dura, quella sul campo, gli aspiranti giornalisti. Come quando, con i ragazzi in fibrillazione e col mare forza 4, a bordo del pattugliatore veloce Barbarisi della Guardia di Finanza, inseguimmo un narcotrafficante, portando a casa un reportage di tutto rispetto.
Marcello aveva un taccuino, vezzosamente Moleskine, dove appuntava tutto. Nomi, luoghi, dichiarazioni, suggestioni.
“Un giorno devi farmeli vedere i tuoi block notes e dobbiamo fare un libro insieme, gli ho detto”. Avevamo già il titolo: “Appunti di un fotoreporter”. Un divertissment. Ci divertivamo a sognare. Ma mica tanto, poi. Come quando in Ucraina, nel bunker antiaereo, abbiamo immaginato una rubrica, che doveva diventare un libro. Foto sue, poesie mie. Anche questi lavori, nel cassetto. E abbiamo progettato di ritornare in Ucraina per un secondo reportage, che non siamo riusciti a realizzare.
È scomparso all’improvviso, ma le sue fotografie continuano a interrogarci restituendoci il suo sguardo pulito, scomodo e compassionevole, mai retorico, sui dimenticati della Terra.
Il Master in Giornalismo e il Gruppo di ricerca S/murare il Mediterraneo, nella persona del prof. Luigi Cazzato e tutti i colleghi con cui Marcello Carrozzo ha collaborato, esprimono profondo cordoglio per la perdita di un docente e di una persona che farà sentire la sua mancanza in aula e fuori dell’aula, provando a stare idealmente vicino alla famiglia che dovrà sopportare la sua perdita.
Toni lacrimosi, musica triste in sottofondo e sguardi contriti nei talk show.
“Sto arrivando amore”, ascolta il compagno in Germania, prima che il telefono della sua donna taccia per sempre a pochi metri dalla riva nel mare in tempesta.
Un film già visto e rivisto che rispetta sempre lo stesso copione, un mirabile monumento di ipocrisia: il ministro degli interni che fa il duro, i rappresentanti del governo che provano a smussare la sua disumanità, l’opposizione che approfitta per creare un po’ di consenso intorno all’ultima tragedia.
È il film di un bravo regista che sta portando gli europei (e gli occidentali tutti) verso il prossimo Oscar della disumanità. Ma noi lo sappiamo, è solo l’ultimo trofeo in un’enorme bacheca, dove la prima antica statuetta porta la data 1492.
Uno schiaffo in faccia a un’Italia che non si crede razzista: #IlCorpoNero di Anna Maria Gehnyei (Fandango Libri) da oggi 17 febbraio in tutte le librerie.
Anna Maria Gehnyei, in arte Karima DueG, nasce a Roma da genitori liberiani, suo padre è stato il primo uomo Kpelle a cui i capi del villaggio hanno permesso di allontanarsi dalla propria terra, il primo Kpelle ad arrivare in Europa.
Nonostante la Liberia fosse “la terra dei Liberi”, ovvero gli schiavi afroamericani rilasciati dagli europei in Africa, i suoi genitori le insegnano ad avere un amore incondizionato verso i bianchi.
Ma questo amore non è ricambiato.
Non è ricambiato dai bambini privilegiati di Roma Nord che non la trattano, dalle maestre della scuola che la lasciano sempre in banco con la gemella, dai datori di lavoro che si stupiscono del suo italiano, dai poliziotti che a ogni rinnovo del permesso di soggiorno fanno delle battute razziste.
Ovunque lei vada, qualunque età lei abbia, a Roma c’è sempre qualcosa o qualcuno che le ricorda di essere nera, così si trova tra due culture: quella italiana che non l’accetta, e quella africana a cui non appartiene fino in fondo.
È troppo nera per parlare bene l’italiano, troppo nera per indossare degli abiti eleganti, troppo nera per essere istruita.
Venerdì 27 gennaio, ore 10, Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Ricorderemo l’amico e smuratore Pier Paolo Frassinelli, grande studioso di media, cinema e letteratura, e parte animante di S/murare il Mediterraneo fino alla sua scomparsa nel novembre del 2021.
Lo ricorderemo presentando, insieme al traduttore Fabio De Leonardis, la traduzione italiana di uno degli ultimi, bellissimi libri di Pier Paolo: 𝘚𝘰𝘷𝘷𝘦𝘳𝘵𝘪𝘳𝘦 𝘪 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘪𝘯𝘪. 𝘛𝘳𝘢𝘥𝘶𝘻𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘦 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘢: 𝘭𝘰 𝘴𝘨𝘶𝘢𝘳𝘥𝘰 𝘥𝘢𝘭 𝘴𝘶𝘥 𝘥𝘦𝘭 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰 (Ombre Corte, Verona 2022). In rappresentanza di S/Murare il Mediterraneo ci saranno gli interventi di Luigi Cazzato, Paola Zaccaria, Annarita Taronna e Lorena Carbonara.
𝐏𝐢𝐞𝐫 𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐅𝐫𝐚𝐬𝐬𝐢𝐧𝐞𝐥𝐥𝐢 (1968-2021) è stato professore di Communication and Media Studies all’Università di Johannesburg e visiting professor al Johannesburg Institute for Advanced Studies. Al momento della sua scomparsa, aveva una fellowship allo Stellenbosch Institute for Advanced Studies, con cui stava lavorando a un progetto dal titolo in progress “African Cinemas: Spaces, Technologies, Audiences and Genres”.
Tra i suoi ultimi lavori, sempre articolati intorno all’urgenza di decostruire i confini sia geopolitici che agenziali, il seminale 𝘉𝘰𝘳𝘥𝘦𝘳𝘴, 𝘔𝘦𝘥𝘪𝘢 𝘊𝘳𝘰𝘴𝘴𝘪𝘯𝘨𝘴 𝘢𝘯𝘥 𝘵𝘩𝘦 𝘗𝘰𝘭𝘪𝘵𝘪𝘤𝘴 𝘰𝘧 𝘛𝘳𝘢𝘯𝘴𝘭𝘢𝘵𝘪𝘰𝘯: 𝘛𝘩𝘦 𝘎𝘢𝘻𝘦 𝘧𝘳𝘰𝘮 𝘚𝘰𝘶𝘵𝘩𝘦𝘳𝘯 𝘈𝘧𝘳𝘪𝘤𝘢 (Routledge, 2019), “Decolonisation: What It Is and what Research Has to Do with It” (in 𝘔𝘢𝘬𝘪𝘯𝘨 𝘚𝘦𝘯𝘴𝘦 𝘰𝘧 𝘙𝘦𝘴𝘦𝘢𝘳𝘤𝘩, a cura di Keyan Tomaselli, Van Schaik, 2018) e “Documentary Film as Political Communication in Post-Apartheid South Africa: 𝘔𝘪𝘯𝘦𝘳𝘴 𝘚𝘩𝘰𝘵 𝘋𝘰𝘸𝘯” (in 𝘋𝘦𝘤𝘰𝘭𝘰𝘯𝘪𝘻𝘪𝘯𝘨 𝘗𝘰𝘭𝘪𝘵𝘪𝘤𝘢𝘭 𝘊𝘰𝘮𝘮𝘶𝘯𝘪𝘤𝘢𝘵𝘪𝘰𝘯 𝘪𝘯 𝘈𝘧𝘳𝘪𝘤𝘢: 𝘙𝘦𝘧𝘳𝘢𝘮𝘪𝘯𝘨 𝘖𝘯𝘵𝘰𝘭𝘰𝘨𝘪𝘦𝘴, a cura di Beschara Karam e Bruce Mutsvairo, Routledge 2021).
Ha spaziato, nella sua riflessione critica, dalla letteratura al senso odierno degli studi umanistici, ad es. con “Crisis? Which Crisis? The Humanities Reloaded” (numero speciale di 𝘊𝘳𝘪𝘵𝘪𝘤𝘢𝘭 𝘈𝘳𝘵𝘴: 𝘚𝘰𝘶𝘵𝘩-𝘕𝘰𝘳𝘵𝘩 𝘊𝘶𝘭𝘵𝘶𝘳𝘢𝘭 𝘢𝘯𝘥 𝘔𝘦𝘥𝘪𝘢 𝘚𝘵𝘶𝘥𝘪𝘦𝘴 33.3, 2019) e 𝘛𝘳𝘢𝘷𝘦𝘳𝘴𝘪𝘯𝘨 𝘛𝘳𝘢𝘯𝘴𝘯𝘢𝘵𝘪𝘰𝘯𝘢𝘭𝘪𝘴𝘮: 𝘛𝘩𝘦 𝘏𝘰𝘳𝘪𝘻𝘰𝘯𝘴 𝘰𝘧 𝘓𝘪𝘵𝘦𝘳𝘢𝘳𝘺 𝘢𝘯𝘥 𝘊𝘶𝘭𝘵𝘶𝘳𝘢𝘭 𝘚𝘵𝘶𝘥𝘪𝘦𝘴 (curato con Ronit Frenkel e David Watson, Brill, 2011), e dalla costruzione mediatica degli eventi contemporanei all’impatto globale del cinema e della cultura africani, ad es. con 𝘛𝘩𝘦 𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘪𝘰𝘯 𝘰𝘧 𝘈𝘨𝘦𝘯𝘤𝘺 𝘪𝘯 𝘈𝘧𝘳𝘪𝘤𝘢𝘯 𝘚𝘵𝘶𝘥𝘪𝘦𝘴 (curato con Antonio Pezzano, Daniela Pioppi e Varona Sathiyah, L’Orientale University Press 2021).
Aveva contribuito allo spirito e alla ricerca di S/murare il Mediterraneo con, tra le altre cose, il saggio “Oltre il Mediterraneo: confini, nuovi media e decolonizzazione dell’immaginario. Uno sguardo dal Sudafrica”, pubblicato nel nostro volume-manifesto 𝘚/𝘔𝘶𝘳𝘢𝘳𝘦 𝘪𝘭 𝘔𝘦𝘥𝘪𝘵𝘦𝘳𝘳𝘢𝘯𝘦𝘰. 𝘗𝘦𝘯𝘴𝘪𝘦𝘳𝘪 𝘤𝘳𝘪𝘵𝘪𝘤𝘪 𝘦 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘷𝘪𝘴𝘮𝘰 𝘯𝘦𝘭 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘮𝘪𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘪, a cura di Luigi Cazzato e Filippo Silvestri (Pensa Multimedia, 2016), e con “Borders, Media and Racial Politics in the Age of Covid-19: A South-South Dialogue. Interview with Pier Paolo Frassinelli” (con Christopher Larkosh-Lenotti, Lorena Carbonara, Annarita Taronna, in 𝘛𝘦𝘹𝘵𝘶𝘴: 𝘌𝘯𝘨𝘭𝘪𝘴𝘩 𝘚𝘵𝘶𝘥𝘪𝘦𝘴 𝘪𝘯 𝘐𝘵𝘢𝘭𝘺, 2021).
Il Giardino dei Ciliegi organizza un incontro di discussione e riflessione su Gloria Anzaldua a partire da suoi libri tradotti e pubblicati di recente: “Terre di confine. La frontera/La nuova mestiza”, traduzione a cura di Paola Zaccaria (2022) e “Luce nell’oscurità/Luz en lo oscuro. Riscrivere l’identità, la spiritualità, la realtà”, a cura del Gruppo di Ricerca Ippolita e con la traduzione di Laura Scarmoncin, Saya Mamani (2022).
Con Laura Scarmoncin, Paula Satta Di Bernardi e Paola Zaccaria. Coordina Giada Bonu Rosenkranz.
L’evento rientra nel ciclo d’incontri “Vivere e pensare i femminismi decoloniali”, a cura del collettivo “Precarie della conoscenza”.
La Fondazione Gramsci Emilia-Romagna invita all’incontro Convergenze, genealogie ed eccedenze. Riflessioni sulle proteste in Iran in programma per venerdì 20 gennaio 2023 alle ore 17.00 presso la Sala Farnese (Palazzo D’Accursio), Piazza Maggiore, 6 – Bologna.
Intervengono:
Paola Rivetti | Dublin City University
Francesca Biancani | Università di Bologna
Riflettendo sui tre assi tematici della composizione sociale, della convergenza e della genealogia, analizzeremo le proteste in Iran chiedendoci in quale contesto socio-politico si siano formate, abbiano acquisito senso e quale futuro politico stiano tracciando.
A tre mesi dall’uccisione di Jina Mahsa Amini e dallo scoppio delle proteste, cercheremo di capire le potenzialità e i punti deboli di questo movimento che, tra molte difficoltà e confrontandosi con una feroce repressione, si sta sviluppando in senso rivoluzionario, seppur con molte fragilità.
Paola Rivetti è professoressa associata presso la Dublin City University. Tra le altre pubblicazioni, è autrice di Political participation in Iran from Khatami to the Green Movement (2020). È Associate editor della rivista Iranian Studies e fa parte del comitato redazionale della rivista Partecipazione e conflitto. È la presidentessa dell’Irish Network of Middle East and North African Studies (Inmenas) ed è consigliera della British Society for Middle Eastern Studies.
Francesca Biancani è professoressa associata di Storia e istituzioni dell’Asia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna. E’ una storica del Medio Oriente moderno e contemporaneo specializzata in storia dell’ Egitto coloniale e semicoloniale (1882-1952) con uno speciale interesse per temi di modernità, genere, sessualità, lavoro e migrazioni.